Non è solo per quello che facciamo che siamo ritenuti responsabili, ma anche per quello che non facciamo.
(Molière)
Per tutti noi il ritmo respiratorio ha questo tipo di successione e alternanza: INSPIRO ESPIRO-INSPIRO ESPIRO-INSPIRO ESPIRO. La domanda da porsi però è la seguente: perché non ESPIRO - INSPIRO-ESPIRO INSPIRO-ESPIRO- INSPIRO?
L’essere umano, in generale, è preoccupato e interessato maggiormente all’inspirazione. Legata all’atto inspiratorio infatti, c'è una sorta di pensieri che, a loro volta, sono connessi alla vita, alla morte e dunque, alla paura: paura di non avere abbastanza aria, di non avere ossigeno, di non farcela a inspirare. Di morire. Chi soffre di asma conosce molto bene questa paura che, a volte, può addirittura trasformarsi in vero terrore. Il broncospasmo contrae, chiude le pareti bronchiali al normale passaggio dell’aria e la paura continua a far prendere aria a chi ne soffre, senza nemmeno poter pensare di trovare il tempo di espirarne un po’. Il cervello, attivato nella modalità sopravvivenza, si comporta di conseguenza: aria=vita. Chi è in pericolo non pensa ad espirare , pensa solo ad inspirare, perché inspiro è vita, senza invece rendersi conto che solo un buon espiro può favorire un altrettanto buon inspiro. Solo facendo spazio e vuoto, svuotamento, possiamo portare a riempire, con aria nuova. Espirare è prendere tempo, mettere distanza tra noi e ciò che pensiamo e facciamo.
La respirazione è un meccanismo naturale, un riflesso involontario che acquisiamo alla nascita. I nostri polmoni, ricolmi di liquido amniotico, al passaggio stretto dal canale del parto, vengono strizzati e compressi, così che i liquidi ancora presenti vengano espulsi. Dispiegandosi, i nostri polmoni si riempiono d’aria, si piange forte e ha inizio, per tutti noi, il miracolo della vita. Si viene alla vita con un inspiro, si lascia questa vita con un espiro.
Noi, esseri umani, respiriamo dalle 21.000 fino alle 24.000 volte al giorno (nel caso di soggetti ansiosi). In media, un adulto a riposo, inspira ed espira circa 8 litri di aria al minuto: in un giorno 11.520 litri, di aria. L’aria che inaliamo è composta dal 21% di ossigeno circa, dal 78% di azoto e il resto anidride carbonica. Quella esalata contiene solo il 15% di ossigeno, quindi si inalano 2.304 litri di ossigeno e se ne espirano 1.728. In fase di rilassamento inspiriamo ed espiriamo 0.5 - 0.7 litri di aria per respiro. In questo stadio i polmoni infatti non utilizzano l’intero volume. Quando invece stiamo compiendo una fatica, il volume aumenta, fino a 2.5 litri per respiro. Chi pratica sport che ha come caratteristica di base la resistenza, può avere un volume di quasi oltre 4 litri.
Compiamo circa dagli 8 ai 16 respiri al minuto, percorrendo avanti e indietro naso- faringe- laringe- polmoni -bronchi -bronchioli: un magico percorso che deve sempre essere libero, per arrivare allo scambio meccanico tra ossigeno e anidride carbonica e permettere quindi l’ematosi, cioè il corretto funzionamento dei nostri organi, che avviene proprio attraverso una buona e sana irrorazione sanguigna.
Pochi si preoccupano della espirazione, intesa come fase che pensiamo essere immediatamente successiva alla inspirazione. Ma non è così semplice la questione e, soprattutto, l’espirazione non è subito conseguente alla inspirazione. Finchè non si inizia un percorso di consapevolezza e attenzione, un lavoro accurato sul corpo nei suoi movimenti autentici, eseguiti in lentezza, non ci si accorge che tra un inspiro e un espiro e viceversa c’è sempre una piccola pausa. Quando nello yoga lavoriamo con i pranayama -cioè con lo studio e la pratica del disciplinamento del prana inteso come energia pura della vita, come Soffio Vitale, veicolato appunto dal respiro stesso - possiamo imparare ad allungare queste fasi di conservazione a polmoni vuoti o a polmoni pieni, i cosiddetti kumhbaka. Questa parola in sanscrito significa brocca, oggetto che può essere appunto sia pieno che vuotao. Possiamo pensare di allungare anche le fasi dell’inspiro (puraka) e dell’espiro (rechaka). Addirittura ad un certo punto Patanjali, autore del testo Yogasutra, al capitolo II, Sutra 51, ci dirà che, seguendo la strategia yoga, degli otto anga, si può arrivare ad andare al di là dello stesso inspiro e dello stesso espiro. Si tratta di raggiungere quel particolare stato detto kevala kumbhaka.
L’inspiro e l’espiro sono due processi meccanici completamenti differenti, che ci servono per permettere lo scambio di ossigeno e anidride carbonica: il primo è attivo, l’altro principalmente passivo, così come sono tanto differenti anche le due fasi di pieno e di vuoto. La respirazione inoltre, e questo è molto importante, può essere volontaria o involontaria. Per esempio, solo un'espirazione forzata rende attiva la muscolatura solitamente preposta alla sola fase espiratoria. Per questo è un processo straordinario. Miracoloso. Salvifico. E bisogna che impariamo ad utilizzarlo, sin da giovani, per vivere con qualità e presenza. Basti pensare a una donna durante il travaglio, mentre gestisce il dolore delle sue doglie. Come potrebbe fare se non avesse il respiro che l’ aiuta? Il travaglio e il parto sono due atti espulsivi, proprio come l’espirazione: quel tipo di dolore lo si governa meglio proprio portando l’attenzione all’espiro, più che all’inspiro. L’espiro libera le cellule dalle tossine, libera la mente dai pensieri tossici. L’azione eliminatrice è la stessa della pelle tramite il sudore, così come l’intestino crasso e l’evacuazione, così come per i tutti e tanti processi espulsivi di selezione di ciò che ci occorre e di ciò che è di scarto per la vita. L’espiro è abbandono e rinuncia. La pausa a polmoni vuoti è detta anche la piccola morte.
Si pensi anche agli attacchi di ansia, angoscia o di panico. Anni fa si proponeva come rimedio, nell’immediato, di inspirare ed espirare velocemente dentro a un sacchetto di carta, completamente chiuso intorno alla bocca, per un minuto e poi di stare un minuto senza sacchetto, per poi riprendere fino a che il soggetto non si fosse calmato. Cosa accadeva in realtà? Si provava a ristabilire i corretti valori di ossigeno e anidride carbonica all’interno del sistema corpo-mente. Inalando la sua stessa anidride carbonica la persona in questione si quietava, perché inalare questo gas gli portava rilassamento muscolare. In mancanza di un sacchetto si può insegnare a respirare con una sola narice, tenendo l’altra narice e la bocca chiusi.
Tutto questo per spiegare che continuare ad inspirare, con un respiro corto, alto, veloce e affannoso (senza per forza parlare di casi drammatici come asma e panico) senza imparare ad espirare correttamente, consapevolmente e profondamente, può portare a far sì che il nostro corpo immagazzini una tale quantità di ossigeno e che si abitui a vivere con contrazioni generalizzate, che vanno a destabilizzare psicologicamente il soggetto e a fargli perdere il suo centro. Se ci si pensa bene, lo si sa che l’anidride carbonica è una sorta di veleno e che, se inalato in forti concentrazioni, porta a svenimento, ipotensione, coma, fino ad arrivare alla morte, ma in parametri corretti per il nostro organismo è vitale e concorre a generare tranquillità, quiete e rilassamento muscolare e quindi mentale.
Il termine hamsa potrebbe significare oca selvatica o cigno, ed è un animale descritto in alcune delle 108 Upaniṣad vediche. In generale, indica un volatile che nidifica sulle cime dell’Himalaya per poi, ogni anno, migrare e farci nuovamente ritorno. E' simbolo di intelligenza discriminativa: secondo alcune leggende sembra che sappia distinguere il latte dall’acqua, scegliendo quindi se abbeverarsi con l’uno o con l’altra. Con i loro stormi sorvolano le cime di queste montagne altissime, le più alte del mondo, dove incontrano temporali e tempeste terribili, che vanno a decimare i coraggiosi animali in viaggio. Chi di loro resiste, sopravvive. Ecco perché sono simbolo della moksa, che in sanscrito significa liberazione. Liberazione dal samsara, cioè dal ciclo delle rinascite.
Il mio maestro mi ha insegnato la ripetizione di questo mantra partendo dalla espirazione. Sull’espirazione si ripete il mantra HAM e sulla inspirazione il mantra SA, tenendo molto lunga la ripetizione del suono della consonante S. Ogni volta che si ripete un mantra è necessario stabilirsi e connettersi alla sonorità di queste sillabe che accompagneranno la respirazione. A volte durante la ripetizione (chiamata japa-japa), ci si ritrova ad invertire il ritmo, proprio perché, come detto all’inizio, il nostro sistema binario della respirazione è impostato con il pilota automatico: prima inspiro poi espiro. Quindi la ripetizione del mantra Ham Sa richiede una attenzione consapevole e molta presenza mentale.
Articollo scritto da L. Dajelli, fondatrice e insegnante della Rhamni Scuola di Yoga