Nel mondo contemporaneo le immagini dilagano e hanno un’incidenza enorme nel condizionare e addirittura plasmare molti aspetti della realtà: le tendenze della moda, le modalità comportamentali e relazionali, i valori, gli status symbol, i reclutamenti ideologici, religiosi, politici e, non ultimo, il modo di fare yoga (anche se dovrebbe trattarsi di essere e non di fare). Il culto dell’immagine dilaga. È evidente il profondo svuotamento della loro fondamentale funzione simbolica e l’abuso tendenzioso, ma la potenza emozionale delle rappresentazioni visive è ancora quanto mai presente: non si limitano a riprodurre la realtà, ma la creano.
Nella cultura indiana, invece, l’immagine ha sempre rivestito un ruolo sacrale di primaria importanza ed è stata strumento fondamentale nel percorso spirituale.
L’immaginazione, una delle funzioni basilari dell’uomo, è la facoltà della mente di produrre immagini, sia in rapporto a oggetti presenti ai sensi, sia costruendone liberamente senza riferimento immediato agli oggetti stessi. Ad esempio, partendo dal dato oggettivo costituito da un cavallo e abbinando a esso un altro dato oggettivo, le ali, l’immaginazione crea un destriero alato, dando forma a un desiderio, un’idea, un’emozione: un volo magico.
L’immaginazione non sottostà a limitazioni o condizionamenti di alcun senso e neppure segue regole fisse o dettami logici, ma è libera riproduzione ed elaborazione del contenuto di un’esperienza sensoriale, collegata a uno stato affettivo. Le immagini hanno un rapporto di tipo transazionale con le emozioni, poiché lo stato emotivo influenza il processo dell’immaginare e le immagini che questo produce influenzano a loro volte le emozioni.
Pensare per immagini richiede una complessa attivazione cerebrale e incrementare la funzione immaginativa recupera e riattiva potenzialità latenti. Nell’immagine l’essere psichico possiede la massima unità e focalizza la propria energia in un unico obiettivo.
La produzione di immagini mentali non va confusa con il fantasticare che non ha uno scopo preciso o un intento trasformativo. L’immagine, invece, catalizza memorie, conferisce significato a una esperienza, accresce le potenzialità cognitive e si prefigge obiettivi delineando strategie e azioni. È il frutto di un processo creativo, ove la focalizzazione sulla forma evocata modifica la percezione di sé e le risposte comportamentali.
Tutto ciò è reso possibile poiché l’immaginazione è un processo che potenzia l’emisfero destro, la porzione del nostro cervello in cui la comunicazione avviene per lo più tramite simboli e analogie. Maggiormente implicato nei processi emozionali, l’emisfero destro è specializzato nell’elaborazione visiva e nella percezione delle immagini, nella loro organizzazione e interpretazione; in esso la realtà viene ricostruita da una piccola parte, cogliendo nella loro totalità contesti, strutture e configurazioni complesse.[1]
L’immaginazione ha una risonanza notevolissima nell’ambito della psiche e del fisico, tanto da essere inclusa in alcuni percorsi terapeutici contemporanei. Molti disagi infatti nascono dal recupero di ricordi cosiddetti di rinforzo, che tendono a consolidare visioni negative di sé e della propria vita: evocare immagini positive e viverne le valenze con partecipazione e aderenza aiuta a contrastare le memorie negative e addirittura a instaurarne altre di rinforzo favorevoli.
Dunque il lavoro sulle immagini e le visualizzazioni sono strumenti preziosi per la comprensione di sé e l’intervento nei processi interiori. La realizzazione di un obiettivo è spesso ottenuto con la costruzione di un’immagine mentale che lo rappresenti.
“L’immaginazione non si ferma a un livello meramente mentale, ma si traduce anche in risposte di tipo fisiologico nel nostro organismo….dal momento che questa struttura ipotetica si traduce in effetti reali sull’organismo, la situazione immaginata anticipa la situazione reale. Pertanto la situazione reale si avvera o perché è stata esattamente prefigurata o perché è stata prefigurata in un certo modo”.
Nella cultura indiana è esemplare il caso del buddhismo tantrico, il Vajrayāna, ove vengono sviluppate al massimo grado le facoltà immaginative nella visualizzazione interiore delle figure divine. Queste sono richiamate alla mente secondo indicazioni ben precise, tracciandone con incredibile minuzia ogni particolare, dalle unghie delle dita al disegno dell’orecchino, esercitando la concentrazione, la focalizzazione e la plasticità mentale. Tutto questo permette di rendere presente la divinità prescelta con tale intensità da ‘incarnarla’ nel corpo dell’adepto, che giunge a identificarsi con questa. Il fatto che le immagini sottostiano a precise regole di evocazione impedisce dispersioni o deformazioni fantastiche e garantisce l’aderenza a una tradizione comprovata e consolidata.
Anche nel percorso dello yoga, l’immagine è rigorosamente codificata e il suo rappresentarla nell’āsana segue precise modalità: non si tratta di arbitraria espressione fisica, ma di traduzione puntuale di un dettame nel linguaggio non verbale del corpo. Solo osservando le regole di esecuzione l’āsana agisce, permettendo all’immagine di prenda forma nelle membra, plasmandole a sua somiglianza. L’āsana è nāma-rūpa, espressione di forma ed essenza, ove la forma, rūpa, è la postura e l’essenza, nāma, è la risonanza profonda indotta dalle connessioni mitiche espresse nel nome dell’āsana.
La codificazione degli āsana è frutto della trasmissione di conoscenza e pratica che avviene da maestro a discepolo, guru-śiṣya-paramparā, l’ininterrotta catena sapienziale che costituisce la tradizione e che risale a un capostipite divino. Il guru, non solo guida e maestro, ma anche padre spirituale, svolge una precisa funzione genitoriale in termini di modello da imitare. Come il bambino riproduce gesti, parole atteggiamenti del padre, così l’allievo riproduce senza discutere quanto il maestro gli mostra, in totale fiducia e devozione.
Più ancora che un passaggio di parole, nella pratica dello yoga è un passaggio di immagini rappresentate col corpo. Il linguaggio delle immagini è il più potente mezzo di comunicazione, diffusione e perpetuazione di una cultura.
Articolo di Marilia Albanese - tratto da “Miti e storie. Il corpo racconta”, 20° volume della collana “Yoga. Teoria e pratica” edito da Corriere della Sera e Yani -Yoga Associazione Nazionale Insegnanti
[1] È ormai sorpassato il concetto di netta separazione tra le attività dei due emisferi, sinistro con maggiori abilità logiche, destro con doti prettamente creative. Il corpo calloso, un sistema di fibre nervose, svolge la funzione di connettere e integrare le attività delle due metà del cervello, che lavorano in sinergia tra loro.