Consapevolezza senza sforzo

“… porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante’”
J. Kabat-Zinn

Consapevolezza

Immagina di essere a teatro, sta per iniziare lo spettacolo, tutto è buio, c’è un fitto silenzio, c’è attesa. Improvvisamente si accende una luce forte e intensa, a cono, che illumina il centro del palco.
Ecco, quella è la consapevolezza. Non c’è più differenza tra noi che osserviamo e l’oggetto della nostra osservazione.

I pensieri sono solo pensieri

Partendo dal presupposto che i pensieri non sono dati di fatto, ma sono solo pensieri, abbiamo la possibilità di vivere la nostra esistenza in una dimensione completamente differente, consapevoli di questa asserzione. Potremo quindi muoverci verso un’esistenza senza giudizio. L’uomo ha la capacità di pensare e visualizzare qualsiasi cosa: un topolino giallo a strisce nere, un asino che vola…  con esempi di questo tipo, è molto semplice capire che si tratta solo di pensieri, che non hanno nulla a che fare con la realtà. Possiamo anche pensare a una casa, quella dei nostri sogni, che è più reale di un elefante rosa ma, anche quello, resta comunque un pensiero, cioè è un prodotto della nostra testa, un contenuto mentale.

Gli eventi stressanti

Lo stesso meccanismo si mette in atto quando, per esempio, viviamo eventi stressanti e, una volta terminati, proseguiamo a mantenerli in vita, continuiamo a colorarli con pensieri che si formano a catena attorno a quello stesso avvenimento. Seguitare a rivivere l’evento nella mente, ripensandolo, riflettendo su tutti i possibili andamenti che avrebbe potuto assumere, oppure pensando a ciò che ci sarebbe accaduto se ci fossimo comportati in un modo piuttosto che in un altro, da un punto di vista propriamente chimico, muove dentro di noi tutta quella farmacia interna composta anche dai nostri ormoni, i nostri neurotrasmettitori. Se portato all’eccesso, questo processo può trasformarsi in una malattia mentale e fisica.

Animali VS animali umani

A questo proposito, può risultare interessante il testo di Sapolzki: “Perché alle zebre non viene l’ulcera?”. Gli animali, infatti, una volta terminato l’evento stressante traumatico, si scrollano letteralmente di dosso l’avvenimento e tutto il sistema, di lì a poco, torna come prima dell’evento. L’uomo invece, ha la capacità e possibilità di mantenere in vita un accaduto, continuando a riviverlo.

La consapevolezza senza scelta

Verso la metà del XX secolo, è stato Jiddu Krishnamurti il primo a rendere noto il meraviglioso concetto di consapevolezza senza scelta, che si può anche definire consapevolezza senza sforzo. E’ una nozione molto simile a quella di shunya, nel senso della vacuità e dell’impermanenza, del tutto che cambia e passa: si raggiunge un tale stato di disidentificazione con le nostre maschere e i nostri personaggi, che non ci resta altro da fare che aprirci al nuovo, al cambiamento, alla volontà divina. Krishnamurti diceva che "la libertà si trova nella consapevolezza senza scelta della nostra esistenza e attività quotidiana ". Si tratta di una percezione che potremmo definire senza ego.

Da dove si comincia?

Ma da dove possiamo iniziare per metterci su questa strada? Seguire corsi di yoga, di meditazione, di Mindfullness, di Vipassana (una forma di meditazione buddhista della tradizione Theravada) è sicuramente un ottimo punto di partenza. È importante approcciare tutto ciò che può sviluppare, nel tempo, un buon rapporto in primis con il nostro corpo, che è tutto ciò che abbiamo e al quale dobbiamo tornare, poiché è il luogo in cui siamo nati. Tornare al corpo, per esempio, attraverso pratiche di attenzione consapevole alle proprie sensazioni fisiche, piacevoli, spiacevoli o neutre, annotando tutto ciò che appare nella nostra lavagna interna, senza giudicare ciò che ci accade: questa è una delle tecniche possibili, si chiama body scan. Anche tutte le pratiche incentrate sul corpo, quelle che si eseguono in maniera lenta, consapevole e autentica, possono portarci, nel tempo, verso questa forma di “attenzione purissima”, come la definiva Simone Weil, perché: “l’attenzione è la prima forma d’amore, è la manifestazione più pura della generosità”, di quella generosità e gentilezza amorevole che dobbiamo piano piano imparare ad avere verso noi stessi. Solo da qui può scaturire un’accettazione che potremmo tradurre dicendoci: vado bene così come sono, ora, in questo momento, entrando nel flusso libero del mio stesso respiro.


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Articolo scritto da Laura Dajelli, Fondatrice e Insegnante di Yoga

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