Genitori di se stessi

GENITORI DI NOI STESSI

Il comportamento di attaccamento è quindi attivato da una situazione di separazione dalla figura primaria, o dalla minaccia di essa, ed è eliminato con la nuova vicinanza.” J. Bowlby

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Cresciamo, diventiamo grandi, eppure ci sentiamo sempre bisognosi di cure ed attenzioni, un po’ come quando eravamo bambini che dipendevamo totalmente dall’aiuto e dal giudizio dei nostri genitori.

Se abbiamo avuto una buona esperienza di attaccamento, funzionale e  sicura sin da piccoli, avremo, da adulti , una altrettanto base sicura e sapremo relazionarci con soddisfazione, sentendoci  a nostro agio nel mondo, sapendo affrontare  novità e  difficoltà con atteggiamento maturo.

Significa che siamo stati accuditi, ascoltati, protetti, “visti" e accettati. Significa che  qualcuno si è davvero preso cura di noi. Questa tipologia di bambini, da adulto sarà probabilmente in grado di sviluppare pensieri di affidabilità e sicurezza e non sentirà sempre  diffidenza e paura e rabbia o anche angoscia nei confronti degli altri simili, che non saranno sempre considerati come potenzialmente temibili.

Mary Main e Ruth Goldwyn ,a tal proposito hanno progettato un’intervista AAI – Adult Attachment Interview -  composta da domande da proporre al soggetto in un ordine stabilito,  che vertono sul tipo di rapporto che si è avuto con i propri genitori. A seconda delle risposte il soggetto viene definito.

  • autonomo o sicuro,
  • evitante
  • preoccupato
  • irrisolto-disorganizzato

Interessante il fatto che la lettura finale e la conseguente interpretazione di questo test non siano  solo basate sulla relazione di attaccamento che si è avuta in età infantile, ma principalmente sul modo in cui questa è stata rielaborata dal soggetto, portando l’attenzione agli effetti attuali.

Purtroppo dove l’attaccamento con la famiglia d’origine è stato alquanto disfunzionale, ogni individuo avrà dovuto  imparare a proteggersi da solo, adottando comportamenti e strategie idonee che , da adulti potrebbero sfociare in comportamenti a volte compulsivi, a volte ossessivi, come rifugiarsi nel cibo, oppure assumendo sostanze, mettendosi in situazioni relazionali problematiche, evitando rapporti e situazioni difficili, diventando troppo dipendenti dalle altre persone, insomma  difendendosi  per come si è capaci.

D’altra parte, uno dei principali compiti per un bambino è proprio questo: formare dei legami con le figure principali di riferimento, cioè quelle di accudimento.

J.Bowlby, uno dei più importanti psicoanalisti del ventesimo secolo, è stato anche  un grande sostenitore della teoria dell’attaccamento. Nell’82 scrisse che: “l’ attaccamento è parte integrante del comportamento umano dalla culla alla tomba” , scrivendo a questo proposito  una imponente trilogia dai titoli: “ Attaccamento”, “Separazione” e “Perdita”.

La novità della sue teorie lo portò a rivalutare le teorie di  Freud, infatti per Bolwby il legame tra la mamma e il bambino non si poteva basare solo su istinti e pulsioni, ma parlava già di possibile riconoscimento delle emozioni tra madre e figlio. Il bambino non procede quindi semplicemente da una fase orale, a quella anale, per terminare a quella genitale, ma finalmente si arriva a parlare  di  sviluppo della personalità  già dai primi anni di vita e soprattutto di una personalità equilibrata e armoniosa, come conseguenza di un buon attaccamento alla figura della madre o a quella sostitutiva.

Fatta questa premessa, non ci resta che roll up the sleeves, dicono gli americani. Rimbocchiamoci  le maniche  e  iniziamo il grande lavoro, il più impegnativo di tutti: quello di diventare genitori di noi stessi, lasciando da parte il ritorno a volte un po’ ossessivo del nostro passato, che è oggettivamente “passato” nel senso che non c’è più, ma che continua ad tenersi vivo con le sue ferite.

Come fare?

Iniziando un percorso di consapevolezza, senza dimenticare di partire dal nostro corpo che è sempre un corpo ferito, che tiene in memoria nei suoi muscoli, le fatiche, la paura e la rabbia che abbiamo  sentito sin dalla nostra infanzia. Lo yoga è uno strumento molto utile che permette di allenare

  • la direzione dello sguardo interiore
  • l’ascolto della nostra voce interiore
  • l’accettazione del nostro limite
  • la pazienza, anche se da piccoli chi si è preso cura di noi, non ne ha avuta abbastanza.
  •  la severa e implacabile  critica che rivolgiamo a noi stessi, considerandola come fattore avverso
  • la gentilezza amorevole verso noi stessi e le nostre parti fragili

  • la curiosità nei confronti della vita, anche se ci sembra  stata, fino ad ora, dura.

  • il coraggio di provare strade nuove.

La pratica yoga

è composta da:

  • posture
  • esercizi di ascolto e propriocezione
  • esercizi di respirazione, pranayama
  • tecniche di meditazione
  • mindfulness permette di sperimentare prima nel corpo,  ciò che poi avverrà nella vita di tutti i giorni

Buona pratica!

La scuola di yoga Rhamni collabora con un team di psicologi e psicoterapeuti, con i quali potete sempre mettervi in comunicazione, scrivendo  a info@rhamni.it

Pratica con noi questa lezione di yoga: La posizione di Ananta

Scritto da Laura Dajelli, insegnante della scuola di yoga Rhamni

 

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