“Se incontri il Buddha per strada, uccidilo” – Koan Zen
Le lezioni di hatha yoga che offriamo alla scuola di yoga Rhamni, hanno una sezione iniziale che prevede esercizi di preparazione respiratoria.
Dopo avere vissuto un'esperienza di silenzio e distensione in shavasana, dopo aver riunificato l’ attività psichica portandola sul luogo del cuore,
Prendendo appoggio sul ginocchio che viene portato al petto, con entrambe le mani sovrapposte sul ginocchio, con le dita rivolte verso il piede, si esegue una pressione, una spinta che permette, durante l’inspiro, di portare l’aria molto in alto, andando a risvegliare la capacità respiratoria della parte più alta del polmone.
Questa parte alta, da un punto di vista altamente simbolico e nella suddivisione tripartitica della respirazione yogica, rappresenta la nostra possibilità di esseri viventi altamente discriminativi. Questa capacità in sanscrito si chiama viveka.
«Con la respirazione yogica il corpo diventa forte e sano; il grasso superfluo scompare, il viso si fa luminoso, gli occhi scintillano, un fascino particolare emana da tutta la persona. La digestione si svolge con facilità. Il corpo si purifica interamente e la mente diviene calma, obbediente. La pratica costante apporta felicità e pace.» Swami Sivananda
La respirazione logica completa ci rende esseri umani in grado di poter utilizzare tutta la fittissima rete polmonare, per condurvi con lentezza e consapevolezza l’aria inspirata, con la seguente modalità:
Parlare di respirazione diaframmatica riferendosi a quella polmonare bassa, non è corretto, in quanto la respirazione coinvolge sempre e comunque il diaframma: quando inspiro il diaframma si contrae e si abbassa, quando espiro si decantare e si risolleva.
La buddità è la condizione di risveglio, uno stato in cui si possono vedere le cose per come sono nella loro realtà, al di là della nostra fatica di essere perennemente raggirati dalle coppie di opposti, dal bello e dal brutto, dal mi piace e non mi piace e da tutte le categorie in opposizione che ci richiedono ogni momento di operare delle scelte.
Una volta raggiunta la buddhità, cioè raggiunto questo stato di chiarezza, potremo dire che prima eravamo ciechi: non vedevamo come stavano le cose, eravamo sprofondati in quella condizione che in sanscrito prende il nome di avidya.
Avidya è la condizione del non sapere, del non vedere bene, del non conoscere ancora. Raggiunta la possibilità di “vedere”, allora abiteremo il nostro corpo e la nostra mente nella loro unità, in una condizione di vidya. La radice vid-, in sanscrito, significa proprio vedere.
ll Buddha è un essere umano come noi che, dopo aver visto come destino comune a tutti gli uomini malattia, vecchiaia e morte, va in cerca della radice della sofferenza, dukkha in sanscrito. La straordinarietà di questa figura storica realmente esistita è che , una volta approdato al risveglio, abbia continuato ad essere un uomo comune, come tutti, ma con una grande e speciale differenza: è riuscito a porre fine alla sofferenza, si era appunto risvegliato. Ma allora perché dobbiamo uccidere il Buddha? Perché una volta raggiunto lo stato di viveka non avremo più bisogno di avere alcun insegnante
esterno a noi non avremo più bisogno di cercare l’approvazione degli altri, saremo l’insegnante di noi stessi, saremo compassionevoli e avremo la mente aperta.
Di questo si tratta: di sguardo. Nello yoga si parla di otto drishti, cioè otto punti sui quali appoggiare lo sguardo mentre si praticano le asana. I guru in India fanno un segno rosso sulla fronte - il tilak - ai propri discepoli , tra le sopracciglia, quasi a rendere visibile l’apertura del terzo occhio, cioè la vista interiore. Per segnalare che si va verso un cambio di visione, di angolazione.
Negli yoga sutra di Patanjali si parla di abhyasa, cioè di una pratica senza sosta. Ma come si fa? Si fanno asana tutto il giorno? No, non si tratta di questo. Si tratta di praticare già sul tappetino con sguardo e attenzione discriminanti, facendo dell’ascolto il primo ingrediente necessario per poter vivere la vita di tutti i giorni con le stesse modalità. Vivere lo yoga sul tappetino come se si trattasse delle prove generali, il backstage della nostra vita.
Articolo scritto da Laura Dajelli, fondatrice della Rhamni scuola di Yoga