Il limite e la vergogna nella nostra vita

La vergogna e il proprio limite

Che cos'è la vergogna? La traduzione della parola vergogna potrebbe essere ben delineata dalla seguente definizione di Umberto Galimberti: "turbamento o senso di indegnità avvertito dal soggetto che presume di ricevere o effettivamente riceve una disapprovazione del suo stato o di una sua condotta da parte degli altri”. E l’orgoglio sembrerebbe proprio  essere il suo contrario. I suoi sinonimi potrebbero essere: imbarazzo, disagio, confusione, timore, timidezza, rossore, pudore, colpa, turbamento.

Anche Wikipedia ci dice dice molto rispetto alla vergogna

Pudore, imbarazzo e vergogna

Anche nella mitologia greca c’è una figura, Aidos, figlio di Prometeo, che corrisponde alla personificazione della vergogna, ma anche della riverenza, intesa come qualcosa che  trattiene gli uomini dal fare il male. Perché un passo prima della vergogna ci stanno l’imbarazzo  e il pudore: entrambi hanno la funzione, quando equilibrate, di mantenere la giusta distanza tra noi e ciò che ci accade, una distanza fisica che permette di tenere lontani coloro che per noi sono considerati degli intrusi.

Costrutto di base

Ognuno di noi ha delle aspettative su se stesso  e, quando fallisce, prova  imbarazzo e vergogna. Quando gli altri ci giudicano non solo per ciò che  abbiamo fatto, ma ci giudicano in modo globale, cioè coinvolgendo l’intera nostra persona, allora la vergogna che si prova è totale e da qui nasce facilmente un costrutto di base: "io sono sbagliato/a", "io non vado bene così come sono". Il mio limite è la mia stessa vergogna.

Il sabotatore interno

Ognuno di noi ha il suo sabotatore interno, che sembra risvegliarsi ogni qualvolta tentiamo di fare delle scelte in autonomia, situazioni in cui la nostra autostima finalmente viene un po' nutrita. Mi riferisco a  chi sembra debba sempre chiedere scusa alla vita, solo per il fatto di  essere venuto al mondo, non certo agli spocchiosi, ai manipolatori e alle personalità narcisistiche con cui ci si imbatte per entrare poi  in difficili dinamiche relazionali.
Quando il sabotatore interno entra in azione, sembra spariscano improvvisamente lo spazio e il tempo che la vita ci ha riservato, quelli che la vita ha pensato solo e proprio per noi. Non si arriva sulla terra per caso: se siamo  in questo mondo ci sarà un perché.

Di cosa vergognarsi allora?

I nostri limiti spesso sono motivi di vergogna. Quando ci vergogniamo, sembra proprio che non ci meritiamo più nulla, o molto poco della vita. Ci dicono che siamo stati bravi o che siamo belli e in risposta noi ci giriamo, per vedere se per caso lo stiano dicendo a qualcuno che sta lì, dietro di noi. Insomma, ci si sente in debito e quasi mai in credito con la vita. A volte si vorrebbe scomparire, qualcuno addirittura decide di tirarsi indietro e di non gareggiare più.
Questa emozione, quella della vergogna, la si prova e la si sente tanto nel corpo, perché in esso si inscrive, chiudendoci con le spalle un po' ricurve in segno di protezione. Rossore in viso, diventiamo impacciati, non vengono più le parole giuste, qualcuno balbetta, addirittura il sistema corpo-mente può andare in blocco. Oppure ci si arrabbia o ci si vergogna di vergognarsi o ci si vergogna di aver fatto vergognare qualcuno. Ci si vergogna di un pensiero che affiora, di una nostra  immaginazione, di un desiderio,  però non ci si vergogna di tutto e con tutti in egual maniera:  qualcuno ci fa vergognare più di qualcun altro. Ci sono ambiti e persone differenti con cui e di cui vergognarsi. Si abbassano gli occhi per non incontrare lo sguardo dell’altro, cercando di camuffare l’emozione della vergogna, per  "distanziarci psicologicamente dall’altro", scrive Anolli nel saggio intitolato “La vergogna". 

L’autocritica: fattore avverso

 Sotto alla vergogna ci sta  evidentemente l' autocritica e, la critica, è sempre un fattore avverso. Per tutti. Ci può portare ansia e soprattutto  ansia sociale   se non siamo abbastanza considerati, se siamo disprezzati o trattati con sdegno, o addirittura bullizzati a scuola, al lavoro, in famiglia. La vergogna distorce i piani della realtà,non ci fa accettare i nostri limiti, è un muro che si erige lentamente tra noi e il mondo esterno, che ci fa implodere e non aver più coraggio di dire chi siamo e cosa vorremmo davvero. Ci può far diventare iper-adattivi, poco spontanei e spesso molto arrabbiati nei meandri della nostra anima.

La  vergogna: emozione sociale e morale

La vergogna è decisamente un’emozione legata all’autoconsapevolezza, riguarda il proprio Sé, la propria intimità, la propria autostima. Ci si mette in discussione per  come siamo. E’ un’emozione sociale e morale  al contempo, perché fortemente condizionata dal tipo di società e luogo geografico in cui l’individuo si è trovato a vivere. Si pensi alle differenze tra i princìpi del mondo occidentale  e di quello orientale.

Cosa penseranno di me gli altri?

  • Cosa pensano gli altri di me quando mi mostro, oppure faccio o dico qualcosa in pubblico?
  • Come è meglio che mi comporti per evitare di stare così male e sentirmi isolato?
  • Dico quello che penso o è meglio di no?
  • Come mi considereranno?
  • Mi vorranno ancora bene?

La voce che si sente dentro continua a rimproverarci per non aver fatto bene o, peggio ancora, per non aver fatto abbastanza. Fa sentire inadeguato e in colpa ma, in generale, non è colpa tua, non hai fatto nulla di male, eppure il sabotatore interno è una tasca senza fondo e ti tira nel pozzo. Tutti proviamo vergogna, nessuno è escluso. Phil Mollon - psicologo clinico e psicoterapeuta presso la clinica Tavistock, studioso di Heinz Kohut e della psicologia del Sé, membro del New York Institute for Psychoanalytic Self Psychology - nel saggio “Vergogna e gelosia”ci dice che “il fallimento più basilare è […] l’incapacità di suscitare una risposta empatica nell’altro”.

Il nostro limite, i nostri limiti

Ognuno di noi, sin da piccolo, ha sperimentato i limiti imposti dapprima dall'ambiente circostante e, subito dopo, i primi no, detti dai nostri genitori, i nostri caregivers. Così, per tutta la vita, ci dobbiamo armare di coraggio e pazienza per  ricercare un "equilibrio costruttivo tra passività e attività, collegato alle aspettative del passato, alle realizzazioni del presente e ai progetti per il futuro", ci dice la psicoanalista M.C. Gislon (membro della International Association for cognitive Psychotherapy e della Society for the Exploration of Psychotherapy Integration).

Cosa fare?

Alcune idee:

  • Si può provare a deporre le armi dell’autocritica. Iniziare ad ascoltare con attenzione la voce interna che ci rimprovera e provare a rassicurarci come si farebbe  con un bimbo piccolo in difficoltà. D'altra parte, quel bimbo piccolo, siamo proprio noi. Siamo stati in difficoltà da piccolini o da adolescenti e li', vicino a noi,  forse non c'è stato un  adulto che ha potuto o saputo proteggerci, consolarci, confortarci, saputo dirci che eravamo ancora bambini, che   andavamo bene così come eravamo e, soprattutto, che c’era tanto spazio ancora  per crescere e per accettarsi.
  • Praticare lo yoga, uno yoga integrale, che preveda  lo studio delle asana con un approccio serio alle tecniche di pranayama e allo studio dei testi come gli Yoga Sutra.
  • Tornare in contatto con il proprio corpo, che è il luogo dove viviamo tutta la nostra vita. E' il luogo in cui siamo nati e  quello in cui moriremo. Ed è lì che, con la pratica, impareremo a trovare i nostri limiti, osservarli, accettarli, perché il corpo e il respiro non posso mentirci. Sono luogo di verità assoluta.
  • Incontrare il nostro cuore e provare amiciziacompassione per noi stessi.
  • Respirare consapevolmente, perché il respiro, nostro sommo guru, ci calma e ci cura.
  • Mettere in pratica nei nostri confronti una self-compassion, supportata da una respirazione consapevole, dal Pranayama, scritto com la P maiuscola, da intendersi come Soffio Vitale.
  • Allungare l'espirazione, mentre, con una mano sul cuore, ci rassicuriamo dicendo alla parte intima e profonda di noi stessi che non siamo poi così male e che, fino a qui, siamo arrivati, con fatica, ma che ce l'abbiamo fatta e che la vita, è dura, mica un gioco da ragazzi. 

Pratica con me questa videolezione: verso Paschimottanasana

Articolo scritto da Laura Dajelli, insegnante Scuola di Yoga Rhamni

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