La parabola del carro

IL SAMKHYA E LO YOGA

Se si discende in se stessi, si scopre di possedere esattamente ciò che si desidera» Simone Weil

Le Upaniṣad

La Kaṭha Upaniṣad, una delle 14 Upaniṣad vediche più antiche, recita così: «Riconosci il sé come il viaggiatore in un carro. Il corpo è il carro. L’intelletto è il cocchiere, la mente (…) le redini. I sensi, così si dice, sono i cavalli; gli oggettidei sensi sono il terreno; l’insieme di sé, mente e sensi i saggi chiamano‘colui che prova piacere’. I sensi di colui che non comprende, la cui mente è instabile, sono controllati come cavalli bizzarri. Ma i sensi di colui che comprende, la cui mente è stabile, sono ben controllati come cavalli docili». La possiamo considerare come una parabola, quella del carro presentata nella Kaṭha Upaniṣad: un auriga, su di un cocchio, trasporta un silenzioso viaggiatore, tiene le redini che a loro volta tengono a freno cinque cavalli un po’ bizzarri. Possiamo identificare il cocchiere con l’intelletto discriminatore, il cocchio con il corpo, le redini con la mente ordinaria, i cinque cavalli con i cinque sensi e per concludere, il viaggiatore con l’anima.

La Bhagavad Gītā

Nella Bhagavad Gītā, che costituisce il sesto capitolo del poema epico Mahabharata, di nuovo si incontra l’auriga, rappresentato da Krishna (avatar del dio Vishnu): sarà colui che guiderà spiritualmente Arjuna nella battaglia contro i suoi cugini. Anche qui si parla di ātman (il Sé), della sua presenza nel mondo e del suo divino creatore, il Brahman. S. Radakrishnan, nel commento alla Baghavad Gītā, dice che «in tutta la letteratura induista e buddhista, il carro sta a indicare il veicolo psicofisico. I cavalli focosi sono i sensi, le redini ciò che frena, l’auriga è lo spirito ovvero il concreto Sé, l’Ātman. Kṛṣṇa, l’auriga, è lo spirito in noi».

Platone

Ciò che è più sorprendente è che, anche nel V secolo a. C., in tutt’altra parte del mondo, in Grecia, nel Fedro di Platone si racconta così: «Si immagini l’anima simile a una forza costituita per sua natura da una biga alata e da un auriga. I cavalli e gli aurighi degli dèi sono tutti buoni e nati da buoni, quelli degli altri sono misti. E innanzitutto l’auriga che è in noi guida un carro a due, poi dei due cavalli uno è bello, buono e nato da cavalli d’ugual specie, l’altro è nato da stirpe contraria; perciò, la guida, per quanto ci riguarda, è di necessità difficile e molesta». Il mito platonico della  “biga alata” – dove si dice che ogni anima è in viaggio verso il “mondo delle idee”, l’iperuranio, su di un carro – l’anima viene trainata da un cavallo bianco, che è quello meno impulsivo, ma accade che l’altro cavallo, quello nero, si imbizzarrisca e, ad un certo punto, non controllando più le redini, cada dal carro alato e finisca sulla terra, reincarnandosi in un corpo.

La parabola del carro 

Ma perché questa immagine ricorrente del carro? Che ruolo ha in tutto questo l’auriga? E’ come se fossimo ancora addormentati: quando la mente è agitata, non sa cosa e come pensare, quindi il cocchiere confuso non sa dove andare e così anche la carrozza. Il corpo viene trainato senza una direzione specifica, mentre il passeggero è dormiente. Per poter prendere in mano le redini e poter dirigere i cavalli in una direzione opportuna, è necessario che l'anima – e quindi non il nostro piccolo io personale – sappia dare le corrette indicazioni. Il problema vero, perciò, è che noi dormiamo credendo di essere svegli, questa è la grande illusione, il grande errore per cui ci ritroviamo in balia del destino. Si tratta allora di riprendere le redini della nostra vita con un percorso di consapevolezza, con la pratica dello yoga che lavora sul corpo e sulla mente, intesi come un unico sistema corpo -mente. Siamo spesso impauriti, spaventati, quindi confusi; siamo convinti di poter dire io sono, io faccio, ma si tratta solo di identificazioni. Si tratta di un’illusione di avere coscienza di sé.

Il Samkya Yoga

Qui si può osservare la chiarezza dello schema che rappresenta il Samkya Yoga. Si potrà notare che ha molto a che fare con ciò che è stato sopracitato.

Avete riconosciuto i cavalli, l’auriga, il carro e gli altri elementi, sotto mentite spoglie?

Interessante anche vedere le ripartizioni a gruppi di cinque, proprio come i nostri sensi.

Samkya, allora, si evince essere  la parte teoretica e Yoga  la parte pratica.

Lo studioso e professore universitario G. Pellegrini afferma che, nelle antiche testimonianze, la relazione tra i due è addirittura “matrimoniale”. Vuol dire che l’ideazione e la sua realizzazione vanno insieme in modo inscindibile. Così come si potrà aver compreso, anche yoga e corpo sono una cosa sola.

Yoga

Yoga allora è strategia, tecnica per prendersi cura dell’unità di corpo e mente. Anche Socrate si poneva la questione, affermando che doveva pur esserci una tecnica per pendersi cura di psychè. E cosa potremmo sostituire alla parola “tecnica” usata da Socrate? La parola yoga, anche se  diventa difficile comprendere questa sostituzione se, come spesso accade, yoga è solo asana. Yoga è metodo, per arrivare a vedere "come uno solo", si dice nel  Mahabharata, proprio alla luce dello studio che fa il Samkya Yoga, quando  spiega esattamente come avviene che noi veniamo trainati spesso da cavalli impazziti che sono i nostri sensi e le nostre emozioni. Allora Yoga può davvero diventare il nostro metodo per correre diritti verso la liberazione, verso l’iperuranio, zona del cielo, spirituale, dove ci sono le idee, quelle immutabili e incoruttibili.

 

 

Articollo scritto da L. Dajelli, fondatrice e insegnante della Rhamni Scuola di Yoga 

 

 

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