Su un albero maestoso,
due uccelli dalle piume identiche:
uno assaggia i molteplici frutti della vita,
l’altro silenzioso, lo guarda con gioia.”
Shvetashvatara Upanishad
C’è qualcosa nella nostra vita che sembra impedirci di vivere in armonia. C’è qualcosa, sul fondo, che non ci fa sentire liberi, che ci fa accorgere prima di tutto di ciò che ci manca, invece di apprezzare ciò che di bello abbiamo e facciamo. Siamo sempre prigionieri della nostra incontentabilità. Non siamo ancora in grado di fare pratica di santosha, come scrive Patanjali negli Yogasutra.
In tutti questi anni di pratica mi sono concessa di andare sempre più vicino alle mie rigidità, alla mia ottusità, ai miei limiti, sperimentandoli nel corpo, accorgendomi così che il corpo è tutto ciò che possiedo ed è anche il luogo a cui, alla fine dei conti, sempre ritorno, poiché è il luogo in cui sono nata. Altro non c’è. Ogni volta che mi ritrovo a fare questi incontri mi ritrovo spiazzata, letteralmente, perché invece di uscirne a pezzi, mi si aprono degli spazi, sempre nuovi, diversi. Spazi di dialogo dove imparo ad accarezzare il limite, accoglierlo, reintegrarlo.
Col tempo, si può davvero imparare ad essere più gentili e compassionevoli con se stessi, soprattutto con il proprio corpo.
Impegnati negli asana e nel movimento che mi piace definire consapevole, si inizia a correggere lo sguardo: un po’ perché si impara a proprie spese che, spingendosi oltre il proprio limite, ci si può fare male e un po’ perché ci si accorge che non ci si ascolta mai abbastanza. Poi, ad un certo punto, subentra qualcosa di straordinario, abbastanza inaspettatamente, ma in realtà è il risultato di tanta pratica: si inizia a sentire che c’è anche qualcosa d’altro, c’è un altro corpo, un involucro, un guscio più sottile con cui dialogare e che si muove con modalità particolari e uniche. Nella visione orientale si parla di 5 involucri, i 5 kosha. Dice Swami Satchidananda: “Se avete uno specchio sporco e rotto e guardate in esso, vedrete un volto sporco e frammentato. Ma se pulite e riparate lo specchio, vedrete un viso pulito e non distorto. Allo stesso modo, se pulite la vostra mente, essa rifletterà il vero Sé, luminoso e raggiante".
Il corpo sottile è quello che possiede la forma radiante dell’energia. Nello yoga si indica con il termine pranamayakosha e la sua struttura comprende i chakra, che sono centri di ricezione, assimilazione, trasformazione e distribuzione dell’energia attraverso canali chiamati nadi. Si dice che l’essere umano si separi dal corpo grossolano solo al momento della morte in via definitiva e temporaneamente durante il sonno.
Kosha, letteralmente, in sanscrito significa “involucro”, mentre pancha significa “cinque”. Secondo questa visione, è come se l’uomo possedesse un mandala interno, una sorta di struttura tridimensionale unica, ma composta contemporaneamente da:
Questi involucri sono necessari per avvolgere l’Atman, il Sé, che è scintilla del Brahman.
Nella Taittiriya Upanishad si tratta molto a fondo la suddivisione dei pancha kosha: Bhrigu al padre Varuna di insegnargli cosa sia il Brahman, ed egli risponde così:
" «Il Brahman è cibo, soffio vitale, vista, udito, mente, parola».
Ancora gli disse: «Quello dal quale le creature nascono, per opera del quale una volta generate vivono, nel quale morendo penetrano, questo devi cercare di conoscere. Esso è il Brahman ».
Bhrigu praticò tapas e, praticata tapas, conobbe che il Brahman è cibo. In verità dal cibo le creature nascono, per opera del cibo una volta generate si mantengono in vita, nel cibo morendo ritornano. Avendo compreso ciò, di nuovo s'accostò al padre Varuna ripetendo: «Insegnami, o venerabile, il Brahman».
Quegli gli rispose «Attraverso tapas devi cercare di conoscere il Brahman. Il Brahman è tapas».
Bhrigu praticò tapas e, praticata tapas conobbe che il Brahman è soffio vitale. In verità nel soffio vitale le creature nascono, in grazia del soffio vitale una volta generate si mantengono in vita, nel soffio vitale morendo ritornano. Avendo compreso ciò, di nuovo s'accostò al padre Varuna, ripetendo: «Insegnami, o venerabile, il Brahman». Quegli gli rispose: «Attraverso tapas devi cercare di conoscere il Brahman. Il Brahman è tapas».
Bhrigu praticò tapas e, praticata tapas, conobbe che il Brahman è pensiero. In verità dal pensiero nascono le creature, in grazia del pensiero una volta generate si mantengono in vita, nel pensiero morendo ritornano. Avendo compreso ciò, di nuovo s'accostò al padre Varuna, ripetendo: «Insegnami, o venerabile, il Brahman». Quegli gli rispose: «Attraverso tapas devi cercare di conoscere il Brahman. Il Brahman è tapas ». –
Bhrigu praticò tapas e, praticata tapas, conobbe che il Brahman è coscienza. In verità dalla coscienza nascono le creature, in grazia della coscienza una volta generate si mantengono in vita, nella coscienza morendo ritornano. Avendo compreso ciò, di nuovo s'accostò al padre Varuna, ripetendo: «Insegnami, o venerabile, il Brahman». Quegli gli rispose: «Attraverso tapas devi cercare di conoscere il Brahman. Il Brahman è tapas ».
Bhrigu praticò tapas e, praticata tapas, conobbe che il Brahman è beatitudine. In verità dalla beatitudine nascono le creature, in grazia della beatitudine una volta generate si mantengono in vita, nella beatitudine morendo ritornano.
Tale è la scienza di Varuna partecipata a Bhrigu, stabilita nel più alto cielo.
Om Om Om Shanti!"
Articolo scritto da Laura Dajelli, fondatrice della Rhamni scuola di Yoga