«Ci rappresentiamo il mondo alla luce dei nostri miti. Alcuni ci sono noti, altri no, ma ce n’è uno dominante: è il nostro mito personale, quello che siamo e vorremmo essere al tempo stesso».
Marilia Albanese, Miti e storie, Rcs, 2017 Milano
Śavasana è la posizione del morente, cioè colui che sta compiendo un passaggio di stato. Per quanto riguarda il praticante di yoga, si tratta di un passaggio dall’esterno all’interno, dall’esteriore all’interiore e, in questo āsana, gradualmente:
Ecco allora, a questo punto, che si può riunificare tutta l’attività psichica a livello del luogo del cuore e, ogni volta che si manifesta un pensiero, ci si riporta al proprio respiro, si torna a concentrarsi su di esso. Questa posizione è molto preziosa in quanto permette di porsi in ascolto di tutte le sensazioni fisiche che sono presenti in quel preciso momento, sensazioni che possono essere di tipo:
Vivendo questo āsana possiamo anche divenire consapevoli di possibili emozioni, che si esplicitano sempre in quel periodo di tempo dedicato all’ascolto; o anche dell’intreccio di pensieri che passano nella nostra mente. In questo percorso di concentrazione, a livello fisico si può prendere via via maggiore coscienza dei punti di appoggio del nostro corpo a contatto con il supporto e di quelli invece che potremmo definire aerei, quelli cioè a contatto con l’aria.
Parlare di Yoga senza parlare di mito è praticamente impossibile. I testi mitologici indiani che sono proprio all’origine dell’induismo sono i quattro Veda, trasmessi oralmente, cioè da bocca a orecchio, prima della venuta della nostra era, avanti Cristo. Ed è proprio all’interno di un mito che riveste un ruolo di grande importanza nella cultura indiana, che ritroviamo i nomi sopra citati: Meru e Kurma.
Il mito della zangolatura viene narrato in diversi testi importanti della tradizione indiana, come la Bhaghavata Purana, il Viśnu Purana e il poema del Mahabharata. Si narra di un tempo in cui i Deva, i semi- dei (o esseri di luce) e gli Asura, gli anti-dei (i demoni), versavano in una situazione di lotta eterna: i Deva volevano vincere per poter ottenere il dominio sui tre mondi e, per farlo, avevano bisogno dell’amrita, cioè il nettare celeste dell’immortalità, collocato nel grandissimo oceano di latte: solo attraverso la zangolatura dell’oceano (la zangola letteralmente è un recipiente cilindrico di legno o metallo, rotante orizzontalmente su un asse, in cui si sbatte la crema di latte per fare il burro) sarebbe stato possibile trovarlo e raccoglierlo. Gli Asura chiesero a Viśnu un consiglio su come agire e il dio gli consigliò di chiedere il supporto proprio dei Deva. E così accadde, con la promessa dei Deva di dividere il raccolto esattamente a metà; per la frullatura dell’oceano venne utilizzato proprio il Monte Meru, il più alto di tutto l’universo. Chi staccherà il monte Meru dalla sua solida base?Garuda, l’aquila divina, veicolo e cavalcatura del meraviglioso dio Viśnu. E al posto della zangola, per trasformare il latte in burro con il frizionamento del bastone, viene scelto il serpente Vasuki, il re di tutti i serpenti: viene avvolto intorno al Monte Meru, i Deva prendono la sua testa, gli Asura la coda, e insieme iniziano a tirare prima da una parte, poi dall’altra, frullando l’oceano. Il monte ruota su stesso avanti e indietro, verso destra e verso sinistra, sempre più forte e più velocemente, il latte si rapprende, ma la montagna rischia di affondare, allora Viśnu, ancora una volta, giunge in aiuto mettendo Kurma, la grande tartaruga, sotto la base della montagna, e con la robustezza del suo carapace sostiene quel grande peso. Ora tutto sembra più tranquillo e, miracolosamente, iniziano ad affiorare i Ratha, tesori nascosti nelle acque dell’oceano. Emergono:
Purtroppo però, i patti non vengono mantenuti, Deva e Asura iniziano a litigare per possedere il nettare. Viśnusi trova ad intervenire ora sotto forma di un’altra divinità che, mentre danza, dà agli Asura del vino fortemente inebriante e ai Deva l’amrita celeste.
Abbiamo raccontato questo bellissimo mito, molto importante per i suoi molteplici significati, perché rappresenta la grande fatica degli esseri umani per andare verso moksha, la liberazione dalle incarnazioni. Per noi praticanti, questa leggenda ci dà la possibilità di parlare di stabilità della nostre posture, che comincia dal prendere consapevolezza dei punti Kurma e delle sensazioni invece che rimandano i punti Meru nel nostro corpo, che sono come sospesi nell’etere.
Sono entrambi fondamentali per arrivare a vivere sthira suckham asanam (Patanjali - Yoga sutra II,46), una posizione stabile e comoda.
Articolo scritto da L.Dajelli, fondatrice della Rhamni Scuola di Yoga e insegnante di Yoga