Il maestro, se egli davvero è saggio, non vi invita ad entrare nella casa della sua sapienza, ma vi guida sulla soglia della vostra mente.
(Khalil Gibran)
Yoga, non solo posture
“Yoga significa unione, legame” scriveva B.K.S Iyengar, uno dei grandi maestri dello yoga contemporaneo, riferendosi al legame che la pratica è in grado di creare tra il corpo e la mente.
Ma tale unione non può avvenire se si rimane al solo livello di esecuzione dell’asana.
Lo yoga non è solo esercizio fisico perché il suo scopo non è scoprire il corpo e le infinite posture che può realizzare, ma scoprire di vivere in un corpo che ci mette in comunicazione con l’infinito che abbiamo dentro di noi, fatto di uno spazio interiore finalmente liberato.
Lo yoga come cammino da un livello superficiale e ad uno più profondo è ampiamente testimoniato dai testi tradizionali che descrivono tutti delle tappe progressive e imprescindibili l’una dall’altra.
“Yogasutra” di Patanjali
Gli Yogasutra di Patanjali uno dei testi più importanti dello yoga risalenti al V-VI sec. D.C., in cui l’autore descrive le otto tappe di un percorso che permetterà al praticante di raggiungere la pacificazione delle funzioni della mente. Esse sono yama, nyama, asana, pranayama, pratyahara, dharana, dhyana e samadhi. Senza entrare nel dettaglio di ognuna, si noti come asana, ovvero la sola postura seduta si trovi ad un livello intermedio che precede il pranayama, l’osservazione del respiro che a sua volta conduce alla ritrazione dei sensi dalle distrazioni esterne, pratyhara, per arrivare alla concentrazione, dharana, poi al senso di unità, dhyana e infine allo stato di beatitudine nel samadhi.
I 4 avashta dell’ “Hatha Yoga Pradipika”
Successivamente a Patanjali, si viene delineando l’Hatha Yoga ovvero una tradizione di yoga comprendente una pratica più fisica che prevedeva molte più posture e in cui il movimento del corpo fisico assume un ruolo preponderante. Il testo cardine di questa tradizione è l’Hathayoga Pradipika di Svatmarama databile nel XVI sec. Qui vengono descritti diversi livelli nello yoga, da quello iniziale, più grossolano, fisico, a quello avanzato ovvero più spirituale. Questo percorso dallo spazio che abbiamo fuori, allo spazio che abbiamo dentro è scandito da quattro fasi:
- Arambha avashta, o stadio iniziale, in cui si prende familiarità con il corpo, ma rimanendo sulla sua superficie. Si esplorano gli asana nella loro forma base, nella loro anatomia più grossolana. Si prende consapevolezza del piede, poi della caviglia, di come la caviglia sia collegata al piede e prosegue con tutte le altre parti del corpo. Il dialogo rimane tra queste parti del corpo che si percepiscono nel loro insieme, ma sempre al livello del corpo.
- Ghata avashta, o del ricettacolo, si affina cioè la consapevolezza di ciò che contiene insieme il corpo e la mente, si va verso una maggiore consapevolezza del respiro, del suono, della sensazione globale. Sempre Iyengar che dà un’interpretazione di questi avashta proprio come se fosse una conversazione all’interno del corpo, descrive questo stadio come quello in cui “si chiede alla mente di muoversi insieme al corpo. […] Dovete conoscere il corpo nella sua totalità, attraverso la mente”.
- Parichaya avashta, o stadio di accrescimento. Dopo le posture del corpo e lo strumento del respiro ci si avvia verso un’esperienza più profonda della mente. Qui viene introdotto nella conversazione un nuovo elemento, quello che Iyengar chiama “l’intelligenza” ovvero il “terzo veicolo dell’essere umano”. E la mente che dice all’intelligenza “ecco ti presento il corpo” e si crea armonia tra i due, la coscienza si incarna.
- Nishpatti avashta, o stadio della perfezione. Il corpo, il respiro, la mente sono perfezionati. Non c’è distinzione. Tutto ciò che si fa e si sperimenta diviene una meditazione in movimento, ogni cosa scorre alla stessa velocità verso la stessa direzione: il sé, l’atman, l’infinito dentro di noi.
I 5 Kosha delle Upanisad
Nella Taittiriya Upanisad (700-300 a.C) lo yoga è descritto come viaggio interiore, delineato da una sequenza di stati dell’essere e di forme di consapevolezza sempre più sottili. Qui si descrive la teoria dei kosha cioè i cinque involucri che avvolgono l’essere umano, da quello più esterno, il corpo fisico fino alla parte essenziale dell’anima. Non si tratta di una descrizione del corpo anatomica, ma di ciò che si prova praticando yoga, quell’avvicinarsi progressivo all’allineamento tra corpo, respiro, mente, anima. Queste cinque guaine sono un tutto energetico, sono come la trama di un tappeto in cui il corpo fisico e i corpi più sottili sono interconnessi. Lo yoga rivela questa trama, portando alla consapevolezza e alla beatitudine finale. Vediamoli in breve, notando sin da subito le loro analogia con la pratica yogica proprio sul tappetino:
- Annamaya Kosha, il sé fisico e il “cibo” dal quale è composto, anna significa infatti “cibo” e maya “fatto di”. E’ il momento in cui facciamo esperienza del corpo fisico e lo esploriamo. E’ l’involucro della pelle, dei muscoli, delle ossa e degli organi; è alimentato dal cibo, appunto, ma anche dall’acqua e dall’aria e, non a caso, è direttamente collegato al proprio stile di vita. Attraverso lo yoga possiamo cercare di armonizzare il primo involucro lavorando sulla cura del corpo, partendo da cibo, sull’allungamento dei muscoli, sulle articolazioni, sulle ossa e sulla colonna per poi prendere consapevolezza della pelle, degli organi e del sistema endocrino. E’ fondamentale avere un’alimentazione sana, leggera che va a stimolare il buon funzionamento e l’armonia di tutti quegli elementi corporei. La pratica sul tappetino inevitabilmente porterà a prendere coscienza di come ci nutriamo, quali alimenti ci fanno sentire più energici e leggeri e quali ci appesantiscono.
- Pranamaya Kosha, è l’involucro dell’energia, interessa la circolazione e l’energia. E’ composto da prana, ovvero dalla forza vitale che pervade tutto l’organismo che si manifesta a livello fisico attraverso il respiro, ma che è parte anche del cosiddetto corpo sottile, perché è l’energia che scorre nelle nadi, o canali energetici. A questo livello si lavora sul respiro durante l’esplorazione del corpo negli asana per espandere la nostra consapevolezza oltre il corpo fisico. Com’è la nostra energia al mattino appena svegli? E alla sera? Siamo consapevoli della qualità del nostro respiro nel corso della giornata? Ne siamo consapevoli sul tappetino?
- Manomaya kosha, composto da manas, cioè dalla mente e dalle cinque facoltà sensoriali ed è la sede del pensare e giudicare, della coscienza. E’ associato al sistema nervoso e a quei meccanismo mentali che il più delle volte ci imprigionano. Qui il respiro fa da ponte con il corpo fisico e lo possiamo sperimentare ogni qual volta, ad esempio, uno stress mentale condiziona la nostra capacità di respirare in modo corretto e di come al contrario, un respiro calmo porta ad una mente calma. Quante volte nella giornata rimaniamo agganciati a pensieri negativi del passato? A quelli che ci spaventano per il futuro? Con quale mente affrontiamo una situazione più difficile? La carichiamo di ansia? Riusciamo a rimanere più calmi? Quanti e quali di questi movimenti mentali si acquietano sul tappetino?
- Vijnanamaya kosha, la guaina di vijnana, coscienza. Si riferisce all’aspetto riflessivo della coscienza, legato alla discriminazione, all’etica, alla morale, alla decisione e alla volontà. L’aspetto riflessivo della coscienza si manifesta quando sperimentiamo una visione più profonda di noi stessi e del mondo. Questa guaina po' indentificarsi ancora con il corpo e i pensieri, ma se si libera dalle tracce della memoria, quando intuisce una realtà oltre la sua manifestazione evidente allora può rivelare il sé più profondo e accedere all’involucro successivo. Quanto siamo connessi con memorie del passato che obbiettivamente non ci servono più? Riusciamo a usare quelle esperienze per migliorarci?
- Anandamaya kosha, da ananda, “beatitudine”, è appunto la guaina che racchiude quella coscienza eternamente presente, anche quando la mente, i sensi e il corpo sono inattivi, come durante il sonno. Si manifesta spontaneamente nei momenti di quiete interiore e di tranquillità rivelando quel riflesso divino, atman, che è dentro di noi, microcosmo che riflette il macrocosmo. Nella vita quotidiana si può tradurre nella capacità di godere delle cose semplici della vita, di ciò che abbiamo senza il bisogno di stimoli sempre più forti indotti dall’esterno. E’ coltivare la pratica del “lasciar andare”, della gratitudine, della meditazione.
L’immagine del nostro corpo che racchiude come in uno scrigno un tesoro così profondo che lo yoga può portare alla luce, rimuovendo, uno dopo l’altro, i veli che lo nascondono è secondo me uno dei modi più significatici e suggestivi con cui si può descrivere la pratica e i suoi effetti.
Scritto da Margherita Paletta, insegnante della scuola di yoga Rhamni